Un approccio contraddittorio consente anche la soppressione della vita umana nel grembo materno in nome della salvaguardia di altri diritti. Ma come può essere terapeutico, civile, o semplicemente umano un atto che sopprime la vita innocente e inerme nel suo sbocciare? Io vi domando: è giusto “fare fuori” una vita umana per risolvere un problema? E’ giusto affittare un sicario per risolvere un problema?
Da dove viene tutto ciò? La violenza e il rifiuto della vita da dove nascono in fondo? Dalla paura. L’accoglienza dell’altro, infatti, è una sfida all’individualismo. Pensiamo, ad esempio, a quando si scopre che una vita nascente è portatrice di disabilità, anche grave. I genitori, in questi casi drammatici, hanno bisogno di vera vicinanza, di vera solidarietà, per affrontare la realtà superando le comprensibili paure. Invece spesso ricevono frettolosi consigli di interrompere la gravidanza, cioè è un modo di dire: “interrompere la gravidanza” significa “fare fuori uno”, direttamente.
Un bimbo malato è come ogni bisognoso della terra, come
un anziano che necessita di assistenza, come tanti poveri che stentano a tirare
avanti: colui, colei che si presenta come un problema, in realtà è un dono di
Dio che può tirarmi fuori dall’egocentrismo e farmi crescere nell’amore.
La vita vulnerabile ci indica la via di uscita, la via per salvarci da
un’esistenza ripiegata su sé stessa e scoprire la gioia dell’amore.
PAPA FRANCESCO