Domenica mattina, 16 maggio 2004, ero anch’io sul sagrato della Basilica di San Pietro, tra i vescovi e sacerdoti che concelebravano la Santa Eucaristica durante la quale Giovanni Paolo II ha proclamato sei nuovi santi. Tra questi, Annibale Maria Di Francia, presbitero, fondatore delle Congregazioni dei Padri Rogazionisti del Cuore di Gesù e delle Suore Figlie del Divino Zelo. In tanti erano giunti, anche dalla nostra Diocesi, per essere presenti al solenne rito della Canonizzazione. Accanto a loro, io ho avuto la grazia di esprimere ufficialmente la “voce” della Chiesa di Oria, che lodava la Trinità Santa per avere glorificato questo fedele imitatore di Cristo.
I discepoli e le discepole di Gesù, quando sono canonizzati, possono essere pubblicamente invocati come propri intercessori da tutti i fedeli. Nella Chiesa di Oria, però, come in quella di Messina, la venerazione per sant’Annibale Maria Di Francia ha un titolo tutto speciale giacché egli vi ha dimorato durante la sua vita terrena. Vivendo in queste contrade, il nuovo Santo ebbe modo di conoscere e amarne la popolazione e di avviare con tante anime buone iniziative, che ormai fanno parte di una storia di santità. Ed ecco che oggi la nostra Chiesa diocesana invoca il padre Annibale insieme con gli altri “suoi” santi. Anzitutto con san Barsanufio di Gaza, di cui Oria conserva gelosamente le reliquie sin dalla metà del nono secolo.
Annibale Maria Di Francia ebbe fin da giovinetto per questo Patrono della Città e dell’intera Diocesi una speciale devozione. Per lui aveva scritto apposite preghiere, rievocando in esse di volta in volta tratti fondamentali della vita e della spiritualità del santo anacoreta e traendo da ciascuno motivi d’invocazione e d’intercessione. Poiché, poi, amava verseggiare, in onore di san Barsanufio compose dei versi, che cominciano così: “Barsanofio eccelso e pio / i tuoi affetti puri e casti / al Signor li consacrasti / dalla tua primiera età; / nostro cor solleva a Dio / nel fervor di carità…”. In occasione dell’ingresso delle Figlie del Divino Zelo nell’aprile del 1909 nella chiesa di San Benedetto lo ricorderà egli stesso rivolgendo ai presenti queste espressioni: “Più volte mi mossi dalla mia lontana Messina e qui venni per visitare questi luoghi… per venerare le sacre reliquie del vostro illustre protettore S. Barsanofio; e fin d’allora il grande Solitario della Palestina divenne mio protettore, e il mio scarso estro giovanile gli offrì il tributo di poveri ma affettuosi versi: e non pensai, che dopo tanti anni, li avrebbero cantati in Oria queste Orfanelle messinesi”. In effetti, quando il Padre, profugo da Messina arrivò in Oria insieme con le orfanelle, vi giunse, come scrisse il p. Vitale, “cantando a suon d’armonium sullo stesso treno l’inno a S. Barsanofio”.
Nella sua biografia del padre Annibale, A. Scelzo ha scritto che i santi non sono mai rimasti soli e che “misteriosamente si cercano e misteriosamente si trovano”. Il Di Francia, in effetti, s’è incontrato con molti santi e non soltanto con Don Luigi Orione, col quale pure è stato provvidenzialmente come riunito dall’evento della canonizzazione, dopo avere avuto già durante la vita terrena l’occasione d’incontrarsi, stimarsi e aiutarsi. Proprio mentre era in Diocesi di Oria, anzi, il padre Annibale apprese che don Orione era stato nominato, su suggerimento del papa Pio X, vicario dell’arcivescovo monsignor Letterio D’Arrigo per collaborargli nell’opera di ricostruzione dopo il tragico terremoto di Messina.
Gli scrisse così, il 18 settembre 1909: “Mio amatissimo P. Orione, con grande gioia ò appreso dal carissimo Can. Vitale venuto in Oria, che la S. V. R. à preso nella nostra assenza, la Direzione dei nostri Istituti! Da questo momento adunque siamo tutti soggetti alla sua saggia Direzione… Abbracci nel suo apostolico cuore quest’altra Opera come sua, e la spinga nella via del suo duplice scopo di Religione e di Beneficenza, mediante le sue ardenti preghiere, i suoi consigli, i suoi ammaestramenti, e i suoi comandi… Presento alla S.V.R. insieme a tutto il personale delle nostre sette minime case, quel sacro Vessillo sul quale sta scritto: «Rogate ergo Dominum messis ut mittat Operarios in messem suam». Questa Divina Parola uscita dal Divino Zelo, in cui si contiene un gran segreto di salvezza per la Chiesa e per la Società, la S. V. R. la raccolga dalla bocca adorabile del Redentore Divino, come noi l’abbiamo raccolta e impressa nei nostri cuori per formarne una santissima missione; e se ne faccia Apostolo e banditore. Mi trovo in Sava a 10 chilometri da Oria, dove varie persone fervono e operano per formare una Casa delle nostre Suore. Le chiedo la S. Benedizione, le bacio le mani, e mi dico: Suo umil.mo servo Can. A. Di Francia”. Fra gli altri “santi”, le cui vie s’incrociarono con quella del canonico Di Francia nella Chiesa di Oria si potrebbe aggiungere la Venerabile Maria Antonia Lalia, fondatrice delle suore domenicane di San Sisto Vecchio. Nel 1910 la madre Lalia giunse nella nostra Diocesi di Oria per ritirarsi in Ceglie Messapico, dove rimase, amata e venerata dalla popolazione, sino alla sua morte, avvenuta il Giovedì Santo del 23 aprile 1914. Siciliana come il padre Annibale, ella trovò in lui non soltanto la guida spirituale, ma il pure il veneratissimo Padre Confondatore, come gli scriveva.
Non si può omettere, poi, di ricordare il Beato Bartolo Longo che, nativo di Latiano, fu il fondatore della nuova Pompei e il grande apostolo del Rosario nei tempi moderni. La conoscenza fra i due risale quasi certamente al 13 agosto 1884, quando il canonico messinese giunse presso il Santuario mariano per celebrarvi la Santa Messa. L’intesa fra i due appare chiara dalla corrispondenza intercorsa, donde si vede pure che il Di Francia divenne subito un attivo promotore della devozione alla Madonna di Pompei; Bartolo Longo, a sua volta, trovò un aiuto efficace nel padre Annibale come quando, nel 1906 e ancora nel 1922, gli chiese di accogliere nei suoi istituti alcuni ragazzi e ragazze, che non trovavano posto in Pompei. Vincoli spirituali come questi, stabiliti dalla Provvidenza tra la Chiesa di Oria e sant’Annibale Maria Di Francia, c’incoraggiano a conoscere meglio la sua figura e ad approfondire il suo carisma sicché dalla maggiore conoscenza ne derivi per noi un maggiore amore e un incoraggiamento all’imitazione. Nella vita dei santi, difatti, come ricorda la liturgia nel Prefazio I dei Santi, ci è offerto un esempio, nella loro intercessione un aiuto e nella comunione di grazia un vincolo di amore fraterno.
Ritengo utile, perché la nostra devozione verso i santi continui a esprimersi correttamente, ricordare ciò che, al riguardo, è contenuto nel Direttorio su Pietà popolare e Liturgia: i santi sono testimoni storici della vocazione universale alla santità; discepoli insigni del Signore e quindi modelli di vita evangelica; cittadini della Gerusalemme celeste, che cantano senza fine la gloria e la misericordia di Dio; intercessori ed amici dei fedeli ancora pellegrini sulla terra perché, pur immersi nella beatitudine di Dio, conoscono gli affanni dei loro fratelli e sorelle e accompagnano il loro cammino con la preghiera e il patrocinio (cfr. n. 211). Ho scelto come “guida” per questa mia semplice e breve riflessione sulla vita e sull’esempio di sant’Annibale Maria, il testo del Prefazio, appositamente composto per la sua memoria liturgica. La figura guida qui indicata, che ne dipinge la sua imitazione di Cristo è quella del Buon Pastore: Tu hai reso sant’Annibale Maria mirabile ministro della compassione del tuo Figlio per le folle, confermandolo alla sua immagine di Buon Pastore. Da qui, mi pare, simili a corsie di una moderna autostrada, si dipartono le vie maestre percorse dal padre Annibale per esprimere la sua dimensione caritativa e cioè la sua qualità di autentico annunciatore della Parola di Dio attraverso la rogazione evangelica, la cura premurosa degli orfani e la sollecita cura dei poveri.
APOSTOLO DEL ROGATE EVANGELICO
Il tema della compassione di Gesù è strettamente congiunto, nel Vangelo secondo Matteo, al comando di “pregare il padrone della messe perché mandi operai nella sua messe” (9,38). Ci sarebbe davvero da soffermarsi su questo passo evangelico, il quale prende le mosse dal mettere in luce la compassione che la stanchezza e l’abbattimento delle folle suscitano nel cuore di Gesù.
Tale condizione del popolo è agli occhi di Gesù come un campo di spighe oramai mature. Non occorre, allora, aspettare tempi migliori poiché è la presenza del Signore che rende “opportuno” il tempo, che lo qualifica come tempo di salvezza. Occorre, piuttosto, che a Gesù, il primo “operaio nella messe”, se ne aggiungano altri. Bisogna, allora, pregare. Lo sviluppo della missione non è un fatto naturale, come la crescita e lo sviluppo di una pianticella, ma è legata alla chiamata da parte del Padrone della messe e alla risposta generosa di chi è inviato. Occorre cominciare dal “pregare”, perché la fruttificazione della messe dipende dal dono di Dio e dal cuore docile, aperto e disponibile: la fecondità è legata alla compassione e alla preghiera. La prima via, dunque, è quella costituita dall’annuncio del Vangelo: “Vero annunciatore del Vangelo, seguendo gli insegnamenti del Maestro, implorò incessantemente il dono degli operai per la tua messe”. La rogazione evangelica fu la specifica forma di predicazione del Vangelo, scelta dal Di Francia. Il suo cuore e la sua mente, difatti, furono come calamitati dalla parola di Gesù. “Dedicherò a questa preghiera incessante, ovvero a questa «Rogazione Evangelica del Cuore SS. di Gesù», tutti i miei giorni e tutte le mie intenzioni, e avrò immensa premura e zelo, a norma delle nostre Costituzioni, perché questo comando divino di Gesù Cristo Signor nostro, poco apprezzato fin’ora, sia dovunque conosciuto ed eseguito, che in tutto il mondo tutti i Sacerdoti dei due Cleri, tutti i Prelati di S. Chiesa, fino al Sommo Pontefice, e tutte le anime pie, tutte le vergini a Gesù consacrate e tutti i Chierici nei Seminari e tutti i poveri e i bambini, tutti preghino tutti il Sommo Dio perché mandi operai innumeri e perfetti e senza più tardare, e dell’uno e dell’altro sesso, e sul sacerdozio e sul laicato, per la santificazione e la salvezza delle anime tutte, neppure una eccettuata. Sarò pronto, con l’aiuto del Signore, a qualunque sacrificio, anche a dare il sangue e la vita, perché questa «Rogazione» diventi universale”. Questo brano è talmente importante nella vita del nostro Santo da essere stato scelto come seconda lettura per l’Ufficio della sua memoria liturgica.
Annibale Maria Di Francia fece proprio l’imperativo evangelico del Rogate ed oggi tutti possiamo costatare quanto e come, in quest’aspirazione fondamentale della sua vita, egli fu voce profetica per la Chiesa del nostro tempo. Lo ha riconosciuto Giovanni Paolo II quando, nel giorno successivo alla sua beatificazione avvenuta il 7 ottobre 1990, lo descrisse autentico anticipatore e zelante maestro della moderna pastorale vocazionale.
Come non ricordare, a questo punto, che il Papa Paolo VI, quando per la prima Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni sacerdotali e religiose, fissata nella seconda domenica di Pasqua detta del Buon Pastore, lanciò il suo messaggio ai fedeli di tutto il mondo, scelse come testo guida proprio il testo di Mt 9,38, tanto amato dal Di Francia. Queste furono le parole iniziali del suo Radiomessaggio: “Lanciando lo sguardo ansioso sulla sterminata distesa di campi spirituali verdeggianti, che in tutto il mondo attendono mani sacerdotali, sgorga dall’animo l’accorata invocazione al Signore, secondo l’invito di Cristo. Sì, oggi come allora, «la messe è copiosa, ma gli operai sono pochi» (Mt 9,37): pochi, in confronto delle accresciute necessità della cura pastorale; pochi, di fronte alle esigenze del mondo moderno ai suoi fremiti di inquietudine, ai suoi bisogni di chiarezza e di luce, che richiedono maestri e padri comprensivi, aperti, aggiornati; pochi, ancora, di fronte a coloro, i quali, sebbene lontani, indifferenti, o ostili, pur vogliono nel sacerdote un modello vivente irreprensibile della dottrina, ch’egli professa. E soprattutto scarseggiano queste mani sacerdotali nei campi di missione, ovunque ci siano uomini e fratelli da catechizzare, da soccorrere, da consolare…” (11 aprile 1964). Rogate! Il comando di Gesù – rogate – che affascinò il cuore e rapì la mente di sant’Annibale ha una validità permanente: ogni vocazione nasce dalla in-vocazione, “dall’in-vocazione orante, da una preghiera che è più preghiera di fiducia che di domanda, preghiera come sorpresa e gratitudine; ma anche come lotta e tensione, come «scavo» sofferto delle proprie ambizioni per accogliere attese, domande, desideri dell’Altro: del Padre che nel Figlio può dire a colui che cerca la via da seguire” (PONTIFICIA OPERA PER LE VOCAZIONI, Documento Nuove vocazioni per una nuova Europa [8 dicembre 1997], n. 35d).
Rogate! Soltanto la preghiera è in grado di mettere all’opera quegli atteggiamenti di fiducia e di abbandono in Dio, che sono condizione indispensabile per superare incertezze e paure e pronunciare un «sì» incondizionato. Il documento appena citato, riprendendo il testo matteano del Rogate e indicandolo come fondamentale per la logica orante della comunità cristiana si esprime così: “La preghiera nelle comunità diocesane e parrocchiali, in molti casi resa anche «incessante», giorno e notte, è una delle vie maggiormente percorse per creare nuova sensibilità e nuova cultura vocazionale favorevole al sacerdozio e alla vita consacrata. L’icona evangelica del «Padrone della messe» conduce al cuore della pastorale delle vocazioni: la preghiera. Preghiera che sa «guardare» con sapienza evangelica al mondo e ad ogni uomo nella realtà dei suoi bisogni di vita e di salvezza. Preghiera che esprime la carità e la «compassione» (Mt 9, 36) di Cristo verso l’umanità, che anche oggi appare come «un gregge senza pastore» (Mt 9, 36). Preghiera che esprime la fede nella voce potente del Padre, che solo può chiamare e mandare a lavorare nella Sua vigna. Preghiera che esprime la speranza viva in Dio, il quale non farà mai mancare alla Chiesa gli «operai» (Mt 9, 38) necessari a portare a compimento la sua missione” (Nuove vocazioni, n. 27a).
Rogate! La pastorale vocazionale inizia dalla preghiera e con la preghiera perché è la preghiera che fa entrare in scena l’essenziale e permette l’intuizione dell’unum necessarium. La preghiera è la via naturale della ricerca vocazionale, il luogo privilegiato per il discernimento vocazionale. Ogni vocazione, qualsiasi vocazione nasce dagli spazi d’una preghiera invocante, paziente e fiduciosa; sorretta non dalla pretesa d’una risposta immediata, ma dalla certezza o dalla speranza che l’invocazione non può non esser accolta, e farà scoprire a suo tempo, a colui che invoca, la sua vocazione (cfr. Nuove vocazioni, n. 35d).
Rogate! È noto quanto, in questi ultimi mesi, i Vescovi delle Chiese in Italia vadano insistendo sul tema della parrocchia ed è proprio con riferimento ad essa, nucleo fondamentale nella vita quotidiana di ogni Chiesa particolare, che vorrei aggiungere alcune espressioni del p. A. Cencini, conclusive di un suo ampio, approfondito e bene strutturato articolo sulla pedagogia vocazionale della parrocchia: “La preghiera è fondamentale per una genuina animazione vocazionale, ma non come alibi che dispensa dal pensare ad altro o addirittura dalle proprie responsabilità.
La preghiera vocazionale è davvero tale non solo quando moltiplica ore di adorazione per impetrare la grazia delle vocazioni in seminario, ma nella misura in cui dispone gli animi ad assumere il corretto atteggiamento in tal senso, ossia l’atteggiamento di responsabilità unito all’intraprendenza personale. Anzi, rigorosamente parlando, non tutti possono pregare per le vocazioni, ma solo coloro che vivono bene la loro vocazione personale, solo quei chiamati che accettano di divenire chiamanti”. (in “Vocazioni”2004/2, p. 80).
In questa prospettiva è più agevole per noi entrare nel segreto del padre Annibale il quale, per fare fronte alla considerazione di Cristo: La messe è molta, ma gli operai sono pochi, e per ubbidire al comando Rogate, fondò le due Congregazioni dei Rogazionisti e delle Figlie del Divino Zelo affinché, con uno speciale quarto voto, si impegnassero: a pregare perché gli operai evangelici fossero numerosi e santi, a diffondere la necessità di questa preghiera, ma poi anche a cercare di essere essi stessi degli operai della messe nelle attività apostoliche a favore delle folle stanche e sfinite come pecore senza pastore (Mt 9,36), cioè della moltitudine dei più piccoli e dei più poveri del mondo. Instancabile e preso da una santa fissazione, come egli amava definire il suo zelo, il Di Francia mosse cielo e terra affinché questa rogazione divenisse incessante ed universale. Egli era come tormentato dall’idea che “si fanno preghiere per la pioggia, per le buone annate, per la liberazione dai divini castighi e per cento altri argomenti umani, e si tralascia di pregare il Sommo Dio perché mandi buoni operai evangelici alla mistica messe”. A Mons. Guido Conforti, fondatore dei Missionari Saveriani, scrisse: “Le vocazioni vere e potenti non sono opera umana, ma divina, sono frutto più della preghiera che del lavoro e dei mezzi materiali […]. Che cosa possiamo sperare di buono, con tutti i nostri sforzi, se trascuriamo il gran rimedio affidatoci da Nostro Signore Gesù Cristo?”.
Annibale Maria Di Francia aveva scandagliato il Vangelo e vi aveva rilevato che, quando in esso si vogliono cercare le modalità di intervento per le chiamate e le possibilità di soluzione ai gravi problemi del campo di Dio, si trova in Cristo un atteggiamento costante: Gesù prega, chiama e conduce i suoi discepoli a condividere la sua compassione. Padre Annibale, che faceva pulsare il suo cuore sulla lunghezza d’onda del cuore di Cristo, fu apostolo di questa evangelica pedagogia: prendere atto della situazione del mondo, compenetrarsi della compassione di Cristo per le necessità degli uomini, pregare incessantemente Dio perché mandi i suoi operai.
SENTIERO PROVVIDENZIALE PER GLI ORFANI E I POVERI
Il Papa, parlando di lui durante il rito della canonizzazione, ha messo anzitutto in evidenza il suo amore per il Signore, che lo spinse a dedicare l’intera esistenza spirituale al bene spirituale del prossimo. Annibale Maria Di Francia, in effetti, aveva subito notato che Gesù, mentre comandava ai suoi seguaci di chiedere al Padre gli operai della messe, nello stesso tempo li inviava a operare personalmente a favore delle folle stanche e sfinite come pecore senza pastore (Mt 9, 36). Nel Vangelo secondo Luca, dopo il categorico: Pregate dunque il Padrone della messe…, si trova aggiunto un forte imperativo: Andate! (Lc 10, 3).
Dalla compassione, dunque, prese avvio la vicenda spirituale di Annibale Maria Di Francia, da quando, cioè, ancora giovane diacono, in un vicolo di Messina, dov’era nato il 5 luglio 1851, incontrò un mendicante cieco. Nel fargli l’elemosina gli domandò donde fosse e quegli rispose che era delle Case Avignone. Si trattava di un quartiere della città, divenuto luogo di grande miseria e anche, purtroppo, di degradazione morale. Il padre Annibale iniziò qui il suo apostolato, partecipe della compassione di Gesù sulle folle: “mi fa pietà questa folla… non hanno di che mangiare” (Mc 8,2)! Scriverà: “Voi potete imprigionare tutti i poveri del mondo, potete accalappiarli come i cani e farli morire annegati, ma non potrete mai distruggere il sentimento della carità, che spinge a dare soccorso agli infelici”.
Il padre Annibale, pertanto, non esitò a immergersi nel più lurido e malfamato quartiere di Messina non solo per evangelizzarlo e promuoverlo, ma anche affinché quelle folle stanche e sfinite come gregge di pecore senza pastore fossero le prime a chiedere di mandare loro gli operai evangelici. Con tale sua scelta egli diede avvio alla sua configurazione a Dio il quale, come è invocato nell’orazione Colletta della Messa in onore di Annibale Maria Di Francia, è “speranza degli umili e rifugio dei poveri… padre degli orfani (cfr Sl 68, 6)”. Il Prefazio afferma a sua volta: “Sentiero sicuro della provvidenza, nel prendersi cura degli orfani, mostrò il tuo volto di consolatore degli afflitti. Fedele amante dei poveri, aprendo le mani all’indigenza, dischiuse con esse le porte della gioia celeste”. La città di Messina, dunque, fu il primo spazio dov’egli poté dilatare la sua carità e fu qui che Annibale Maria Di Francia diede inizio alle sue fondazioni, che oggi sono seminate nel mondo intero. La Provvidenza, tuttavia, andava ponendo sulla sua strada ulteriori “segnali”, che lo indirizzavano verso Oria e verso la Puglia. La lettura di questi segnali, però, si farà chiara solo con il succedersi degli anni e degli eventi. Accadde, infatti, che nell’ottobre del 1902 il padre Annibale giunse a conoscere, presentatogli da Vincenzo Lilla, un suo estimatore originario di Francavilla Fontana e in quegli anni illustre docente di filosofia del diritto nell’Università di Messina, un giovane sacerdote: Pantaleone Palma. Nativo di Ceglie Messapico, questi aveva ricevuto l’ordinazione sacerdotale dal vescovo di Oria Teodosio M. Gargiulo il 30 luglio 1899 ed era giunto in Messina per completarvi gli studi. L’amore di Dio stabiliva anche per lui, attraverso singolari e talvolta anche dolorose coincidenze, misteriosi appuntamenti. Il Palma divenne presto un figlio spirituale e uno dei più stretti e affezionati collaboratori del padre Annibale. Al servizio della sua opera egli coinvolse pure il fratello Pietro, indirizzandolo quale istruttore degli orfani nell’arte della calzoleria, e la sorella Teresa Maria Crocifissa, che indossò l’abito religioso delle Figlie del Divino Zelo col nome di Sr. Gesuina.
Insieme con il padre Palma, Annibale Maria Di Francia giunse ancora una volta in Puglia nell’ottobre-novembre 1908. Una lettera del 25 novembre 1908, indirizzata al Vescovo Mons. Antonio Di Tommaso rievoca quel viaggio: “Reduce in Messina dal mio viaggio nelle Puglie, e dopo aver dato sesto in certo modo a tanti affari accumulati, sento il dovere di richiamare la grata memoria della E.V. e di renderle sentiti ringraziamenti delle cortesissime accoglienze fattemi in Oria quando ebbi il bene di visitarla nel suo Episcopio. Oria per me è una città carissima; ci venni più volte da giovine chierico e da Sacerdote, attratto dalle maraviglie che si dicevano operate da Dio in una sua Serva e contrassi particolare amicizia con anziani e degni sacerdoti… Con grande piacere accolsi nel mio Istituto la giovane oritana Elena Mazza, sorella del Sacerdote Oronzo, ed è il primo fiore di costesta terra, trapiantato nella Città di Maria della Sacra Lettera… Si ricorderà la E.V. che si parlava, che cosa potrebbe farsi dell’Ex-Convento di S. Pasquale di Oria… Quel giorno la E.V. mi disse d’incaricarmene io, di trovare qualche Comunità che volesse acquistarlo, per stabilirvi qualche cosa di utile adatta al locale. Orbene, si è acceso tanto in me, quanto nei miei, un vivo fervore di acquistare quell’Ex-Convento, se la E.V. consente e iniziarvi delle opere di gloria di Dio e bene delle anime, cioè un Orfanotrofio maschile, un Oratorio festivo per maschietti, ad instar di quelli Salesiani, con insegnamento del Catechismo, un’evangelizzazione domenicale dei poveri, come facciamo in Messina, oltre il sovvenimento, anche giornaliero dei poveri veramente bisognosi, che verrebbero al Convento. A questo si aggiungerebbe l’ufficiatura della Chiesa, cercando di ripristinare tutte le Feste Francescane, che si facevano un tempo, ed occuparci, secondo le nostre deboli forze, per la santa propaganda della Rogazione Evangelica del Cuore di Gesù…”.
Tali erano i progetti e i propositi che Annibale Maria Di Francia confidava al Vescovo di Oria. In essi ci sono i tre temi fondamentali della sua carità pastorale: la rogazione evangelica, il soccorso degli orfani e la carità verso i poveri. Come recita un noto proverbio, “l’uomo propone e Dio dispone”. Dopo appena un mese, difatti, il disastroso terremoto di Messina del 26 dicembre 1908 si abbatté come un uragano anche sulle opere avviate da padre Annibale, ma proprio nel vivo di tale catastrofe egli vide aprirsi nel mare una strada che lo portava sul Continente e lo faceva tornare ad Oria. Così il padre Annibale iniziò il suo ministero di compassione pure nella Chiesa di Oria.
Vi giunse alla fine del gennaio 1909, col suo carico di umana e innocente sofferenza. Dopo le prime, generosissime accoglienze i problemi tornarono ad acuirsi. Così il Padre ne riferiva al papa Pio X: “Molte sono, Beatissimo Padre, le afflizioni cui si va incontro in quella Casa di Oria… e se non fosse per l’obolo di S. Antonio di Padova, nostro specialissimo Protettore, che ci viene da altre Città, e per gli aiuti che ci dà Sua Eccellenza Monsignor Di Tommaso, si potrebbe perire”.
Mons. Antonio Di Tommaso (1860-1956), che fu Vescovo di Oria dal 1903 al 1946 e le cui spoglie ora riposano negli ipogei della Basilica Cattedrale, fu in Oria il vero angelo custode del Di Francia. Così gli scriverà da Messina il 10 giugno 1909: “Domenica prossima, 13 giugno, ricorre il fausto onomastico della E.V. che del glorioso S. Antonio di Padova porta il santo Nome. Tutti e tutte nei miei minimi Istituti sentiamo vivo il dovere di presentare i più sentiti auguri alla E.V. a cui ci legano ormai sacri vincoli di profonda riconoscenza e di devoto rispetto ed affetto. Tra le funeste vicende dell’immane flagello del Signore, come raggio di sole tra le tenebre ci si presenta il ricordo della E.V. che tanto amorosamente ci accolse nella sua Diocesi”. Intanto il 4 aprile 1909 era stato inaugurato ufficialmente in Oria l’Orfanotrofio femminile e il successivo 28 settembre sarà aperto l’Orfanotrofio maschile, nell’ex Convento di San Pasquale. Con l’adempimento dei voti, passato attraverso il crogiuolo della sofferenza, iniziò, allora, quel fecondo vincolo spirituale che dura sino ad oggi. Le Suore, operando secondo la Regola del Fondatore, impostarono ben presto la vita dell’Istituto sulla religione, l’educazione e l’istruzione, non arretrando di fronte alle avverse opinioni. Oltre la scuola, impiantarono un’industria di telai, una scuola di ricamo e di cucito. In San Pasquale sorse un calzaturificio meccanico, cui si aggiunse un’efficiente tipografia e l’avvio di un’azienda agricola, impiantata nel vasto giardino.
Nel novembre 1928 si aprì in Oria anche il Noviziato maschile, mentre quello femminile era già avviato sin dal 1920. Pian piano procedeva così l’iniziale disegno che il Di Francia aveva descritto nella sua lettera al Vescovo di Oria. Da allora sono passati molti anni e sono mutati i tempi, le strutture della società, le persone, le idee mentre i due Istituti continuano a operare secondo il carisma del Fondatore. L’antico monastero, primo rifugio dopo il terremoto, ora è una Casa d’accoglienza per minori, organizzata per corrispondere alle esigenze di bambini e bambine che necessitano di uno spazio educativo protetto e di un forte sostegno educativo, così da tutelare la loro crescita affettiva ed emozionale. Accanto ad esso è sorto nel 1990 un Centro Sociale intitolato al santo Fondatore, che offre un servizio di accoglienza, di osservazione e cura della relazione madre-bambino. L
a presa in carico dell’intero nucleo famigliare, la diagnosi e la terapia sono le tappe fondamentali dell’itinerario di permanenza del nucleo madre-bambino nel Centro, con lo scopo d’integrare la protezione del minore con l’aiuto alla sua famiglia di origine. Infine, presso l’antico convento di San Pasquale, come ancora è chiamato dagli oritani, è oggi attivo il Centro Educativo Rogazionisti, che accoglie bambini e bambine, preadolescenti e adolescenti in disagio educativo.
CONCLUSIONE
Vorrei, avviandomi a conclusione aggiungere alcune significative espressioni conservate negli scritti di sant’Annibale: “La preghiera per essere efficace deve essere accompagnata dalla nostra cooperazione per ottenere ciò per cui preghiamo. Una preghiera senza cooperazione è imperfetta e inefficace. Così la preghiera, unendovi l’opera, si rende efficace. E la meditazione spinge a pregare e cooperare. Voi dovete pregare per ottenere i buoni operai alla Chiesa, ma nel tempo stesso dovete lavorare per questo scopo”. In altra circostanza scriveva: “I poveri abbandonati hanno gran bisogno di essere evangelizzati. Evangelizzare i poveri senza soccorrerli è un lavoro incompleto. Bisogna unire l’una cosa all’altra. Non si venga mai meno a questo spirito di doppia carità”. Penso di non essere lontano dal vero se affermo che questo radicamento nella “doppia carità” è un elemento determinante del carisma di sant’Annibale Maria Di Francia. Non è necessario andare troppo lontano, in verità, giacché sarà spontaneo richiamare al riguardo il duplice comandamento evangelico dell’amore di Dio e per il prossimo.
Sant’Agostino chiamava questo duplice amore la gemina caritas, indicando nei due precetti della carità “le due ali con le quali, nel desiderio e nella speranza, voliamo verso il Signore (“Illuc volemus spe et desiderio, habentes alas geminae caritatis”, In Ps. 138, 12; cfr. De doctr. christ. 1,36,40; 2,6,7). All’inizio del XX secolo, ripetendo il misereor super turbam di Gesù, che aveva commosso pure l’animo di Annibale Maria Di Francia, anche Leone XIII, nella sua enciclica Graves de communi (18 gennaio 1901), ricordava che “Cristo a questi ammaestramenti di duplice carità spirituale e corporale aggiunse i propri esempi, e ognuno sa quanto sieno luminosi. E torna grato il rammentar qui quel grido uscito dal suo cuore paterno: «Misereor super turbam» Mi fa compassione questo popolo (Mc 8, 2); e il pronto divisamento di soccorrere anche con un miracolo… Gli Apostoli con religiosa diligenza seguirono fin da principio questa sua scuola di carità; e quelli che abbracciarono in appresso la Fede trovarono istituzioni di varie maniere per sollevare le miserie del prossimo. Istituzioni che, continuamente aumentando, sono effettivamente un ornamento illustre e proprio del Cristianesimo e della civiltà che ne deriva; cosicché gli uomini retti non si saziano dall’ammirarli, specialmente perché si è tanto inclinati a cercar il proprio comodo e a non curare l’altrui”. Quanto valgono queste parole per il padre Annibale, che proprio nel settembre di quel 1901 vedrà approvati dall’Arcivescovo di Messina, Mons. Letterio D’Arrigo, i nomi definitivi delle sue due Congregazioni religiose: i Rogazionisti del Cuore di Gesù e le Figlie del Divino Zelo del Cuore di Gesù.
Nella prospettiva del Grande Giubileo del Duemila il papa Giovanni Paolo II non esitava ad affermare perentoriamente che la carità, nel suo duplice volto di amore per Dio e per i fratelli, è la sintesi della vita morale del credente (TMA 50). Tale è stata la vita dei Santi e anche di sant’Annibale Maria Di Francia. Preghiera ed azione sono stati sempre congiunti, come nell’ora et labora benedettino, nella storia della santità. Guardo pure, ad esempio, alla Beata Madre Teresa di Calcutta che, evangelicamente ispirata, univa in un solo amore i poveri e l’Eucaristia. “Il lavoro che realizziamo è, per noi, soltanto un mezzo per concretizzare il nostro amore di Cristo”, affermava di sé e delle sue Suore, proseguendo: “Siamo dedite al servizio dei più poveri dei poveri, vale a dire di Cristo, di cui i poveri sono l’immagine dolorosa… Gesù nell’eucaristia e Gesù nei poveri, sotto le specie del pane e sotto le specie del povero, ecco quel che fa di noi delle Contemplative nel cuore del mondo”. Ogni mattina, difatti, Madre Teresa passava un’ora e mezza fra preghiera, meditazione, eucarestia; alla sera passava un’ora di adorazione di Gesù nel santissimo sacramento. In questo modo riceveva amore divino, luce, energia per riconoscere, amare e servire Gesù nei più poveri dei poveri.
Questo è lo stile dei santi della carità. Non diversamente, difatti, agiva il Di Francia il quale pregava così dinanzi all’Eucaristia: “Io vado quest’oggi tra i poveri; fate, o Gesù mio, che sia affabile dinanzi alla turba dei poveri, rendendomi dolce nel trattare, abile nell’istruire… Fatemi vera luce del mondo… perchè sono vostro sacerdote, affinchè con lo splendore delle virtù e della dottrina io vi edifichi quest’oggi le anime a me affidate”. Sono i suoi biografi a riferirci dell’amore grande e della tenera devozione nutriti da sant’Annibale verso l’Eucaristia e di com’egli l’abbia considerata la vita e la fonte non solo di tutte le sue opere, ma della Chiesa in quanto tale: “Gesù Cristo in Sacramento è la vita della Chiesa”.
A me basta, in fine, ricordare le pressanti parole con le quali il padre Annibale domandava al papa Pio X, in una Supplica del 1909 già richiamata all’inizio, la grazia di conservare l’Eucaristia nella casa che gli aveva aperto le sue porte: “Dopo il terremoto di Messina, il mio Orfanotrofio femminile, privo di abitazione fui accolto con grande e generosa Carità dal piissimo Vescovo di Oria Mons. Antonio Di Tommaso, il quale, con più che paterno affetto, se ne interessò, e alloggiò le orfanelle con le Suore in una metà del grande Monastero di S. Benedetto di Oria. E’ uso giammai interrotto, e regola primaria e fondamentale delle nostre Case, un culto tutto speciale e fervoroso verso il Santissimo Sacramento dell’Altare; per cui non vi è Casa delle nostre che non abbia un Oratorio interno Sacramentale… Nostro immenso conforto sarà la Reale Presenza del Sommo desiderato Bene, quando la Santità Vostra darà il parere che potremo averlo, o anche ci rimetterà alla Carità del nostro amatissimo Vescovo di Oria, il quale, speriamo nel Cuore Santissimo di Gesù, sarà oramai propenso ad accordarcelo.
Quando avremo conseguita così desideratissima Grazia, la prima S. Messa sarà offerta per la Santità Vostra, che il Sommo Dio La conservi ed esalti; la seconda sarà offerta per il degnissimo Vescovo di Oria…”. Non v’è alcun dubbio che il padre Annibale quella Messa l’ha poi celebrata e offerta. Uguale certezza abbiamo noi oggi che dal cielo il nuovo Santo intercede per i suoi figli e le sue figlie e pure, insieme con la sua Messina, continua a benedire Oria e la Chiesa particolare che l’accolse profugo e generosamente gli donò una terra dove ripiantare il suo carisma e fare rifiorire e ancora fruttificare le sue opere.
Oria, 1 giugno 2004 Memoria liturgica di sant’Annibale Maria Di Francia
Marcello Semeraro Vescovo