La frase che sentiamo dire sempre più spesso tra i giovani è “ma che male c’è?”. Un’espressione ormai entrata nel linguaggio comune e che ammette comportamenti discutibili. Che male c’è a farsi uno spinello? Che male c’è a consultare l’oroscopo? Che male c’è ad andare in vacanza con il proprio fidanzato? Che male c’è a scrivere sui muri? Che male c’è a scaricare illegalmente la musica da Internet? Che male c’è a superare i limiti di velocità? Che male c’è a farsi qualche birra in più il sabato notte assieme agli amici? Che male c’è a portarsi a letto la propria ragazza e fare sesso con lei? Che male c’è a giocare col sesso con i propri compagni a scuola? Una lista di interrogativi volutamente confusa che non rispetta, perché non trova spiegazione, la gravità o meno di alcuni comportamenti giovanili, senza ormai più la consapevolezza di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato, di ciò che è soltanto sbagliato e di ciò che è peccato. Ma in un contesto culturale quotidiano e ordinario come il nostro, può esistere ancora tra i ragazzi lo spazio per il concetto e la comprensione di cosa sia per loro il peccato?